UOMO VERSUS ANIMALE

Personale al Lu.C.C.A. Museo d’Arte Contemporanea, Lucca, Italia. Curata da Luca Beatrice. 2010

UOMO VERSUS ANIMALE

Lu.C.C.A. Museo di Arte Contemporanea, Lucca, Italia

UOMO VERSUS ANIMALE

NEL SEGNO DEL CORNO
resina e smalto, cm 53x46x25

UOMO VERSUS ANIMALE

NEL SEGNO DEL CORNO
resina e smalto, cm 53x46x25

UOMO VERSUS ANIMALE

IL CACCIATORE DI DESTINI
tecnica mista su legno, teca in plexiglas, bronzo, cm 220x48x190

UOMO VERSUS ANIMALE

L’APPESO
resina e pelle, cm 50x22x38

UOMO VERSUS ANIMALE

L’A GIUSTIZIA
legno, tessuto, ferro,cristalli, dimensioni variabili

UOMO VERSUS ANIMALE

UOMO VERSUS AMIMALE
stil da video

UOMO VERSUS ANIMALE

IL MATTO
resina, lamine, pelle, cm210x180x190

UOMO VERSUS ANIMALE

I TOROCCHI – L’EREMITA
acidatura su lamine e resina su legno, cm 30×21

UOMO VERSUS ANIMALE

I TOROCCHI – IL CARRO
acidatura su lamine e resina su legno, cm 30×21

UOMO VERSUS ANIMALE

I TOROCCHI – IL TORRO
acidatura su lamine e resina su legno, cm 30×21

UOMO VERSUS ANIMALE

TESTA DI … ORO
lamine acidate su resina, cm 100x80x68

UOMO VERSUS ANIMALE

TESTA DI … ROSSA
resina, smalto, lamine, cm 100x80x68

UOMO VERSUS ANIMALE

NON E’ VERO MA CI CREDO
ferro, resina e lamine oro, cm 205x370x170

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UOMO VERSUS ANIMALE
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UOMO VERSUS ANIMALE
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UOMO VERSUS ANIMALE
UOMO VERSUS ANIMALE
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UOMO VERSUS ANIMALE
UOMO VERSUS ANIMALE
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Attraversando la Spagna in macchina, magari in quel tratto che conduce da Barcellona a Madrid, è impossibile non imbattersi in una delle tante sagome che dal 1956, su progetto del famoso grafico Manolo Prieto, hanno invaso la penisola iberica, prima nelle città e poi nella campagna deserta e selvaggia, con la raffigurazione del toro nero. Il testimonial ideato per rappresentare il cognac della ditta Osborne, il “Veterano”, è presto divenuto riferimento chiaro e distintivo di un marchio. Ma non solo: le pubblicità, sagome alte 12 metri e del peso di 4 tonnellate, troneggiando sul territorio, in cima a un promontorio o su una collina, identificano ormai da anni la “Spagna della corrida e dei matadores” così come si è costituita nell’immaginario collettivo. Il simbolo si è dunque trasformato in icona, il marchio in emblema protetto da una legge che lo dichiara patrimonio artistico e culturale. Un billboard outdoor advertising considerato ormai contrassegno nazionale. La sagoma del toro si è preservata e, tolta la dicitura pubblicitaria, eccola ancora lì a rappresentare con naturalezza l’essenza della Spagna. I simboli sono spesso presi in prestito dal vasto repertorio della tradizione, pronti a rinnovarsi nella contemporaneità alla maniera di un giusto mix che confonde il sacro con il profano traslando di continuo i significati ideali di volta in volta reinventati.
Anche Christian Balzano sceglie il toro come proprio marchio di fabbrica. Lo fa traslando a suo piacimento il senso dell’icona. Mai banalizzando, anzi, scegliendo la strada consapevole di utilizzare un simbolo forte e a suo modo ironico. Liberato da quell’univoca interpretazione direttamente legata alla forza fisica e primordiale dell’animale, la potenza taurina assurge a nuovi valori che affondano le proprie radici nella cultura e nelle credenze popolari rivisitate nella contemporaneità. Il vero soggetto è, oltre alla doppia natura umana in bilico tra brutalità e bellezza, il tema della superstizione e del misticismo, della predestinazione contro ogni tipo di volontà di cambiamento. È il precario equilibrio tra razionalità e istinto.
Ripescando nella tradizione medioevale che vede minotauri, satiri, sirene e centauri protagonisti di un teatro simbolico e mitologico, Balzano aggiusta il tiro in un imprinting che rovescia l’asetticità del minimalismo a cui gli anni Novanta ci avevano abituati, puntando dritto a una polifonia iconografica, diretta, eccessiva ed espressiva. Ecco allora comparire, oltre che al toro – già di per sé immagine intrisa di popolarità e di coralità di sensi – tutta la categoria simbolica, più dichiaratamente legata al culto personale del credente, degli ex-voto, degli altarini familiari, del confessionale clericale, icone religiose riproposte secondo modalità estetiche avulse dalla stitichezza del puro concetto senza forma.
Prendendo in prestito l’icona popolare e inserendola nell’universo del sacro e, viceversa, utilizzando il sacro associato alla superstizione amuletica, Balzano svolge una doppia azione di profanazione. Un’operazione la sua che ha prima di tutto un alto valore artistico – un ritorno al barocchismo in8
controtendenza alla “purezza” fittizia di tanto concettualismo visivo – declinabile al contempo su svariati piani di lettura interpretativa: quello messo in scena è un cortocircuito temporale e culturale che fonde la tradizione della cultura cattolica, secolare e radicata, e quella occidentale in generale – la forza contro la spiritualità – con un antitradizionalismo blasfemo da ventunesimo secolo. Balzano allude a Dio, al senso della vita e della morte, e lo fa con estrema ironia polverizzando ogni ombra di commiserante drammaticità. Se l’arte vuole ancora toccare e parlare del reale, e con il reale, deve necessariamente tornare a una forma di riutilizzo del grottesco, del bizzarro e del simbolico, provando a puntare direttamente allo stomaco e alle viscere dello spettatore.
In breve, anche per Balzano, il simbolo è diventato icona, marchio di fabbrica per un artista che spazia tra le varie discipline e i diversi linguaggi – dalla pittura al video, dalla scultura all’installazione – nell’ottica di formulare un discorso in continuo divenire e capace di interloquire criticamente con la realtà. Le installazioni video-pittoriche, le sculture in resina dipinta, le incisioni e acidature di stampo warholiano, gli acrilici su carta, pelle o tela, la cromia contrastata, rossa e dorata, i soggetti fortemente iconicizzati – tori, corride, cuori, lampadari di cristallo, maschere e feticci da toreador – sono tutti elementi riconducibili a un sentimento sicuramente neo-barocco che pare divenuto oggi contraltare del minimal invasivo e anestetizzante di fine secolo.
Se Matthew Barney nel surreale travestimento di The Loughton Candidate – per il C4 (1994) del ciclo Cremaster, mastodontico teatro di simboli e di rimandi che si rincorrono senza tregua – indossa la maschera ibridata di un essere meta-umano, anche Balzano veste i suoi attori e se stesso con la maschera del toro creando moderni minotauri alle prese con le loro faccende quotidiane. L’immagine del toreador vincente lascia però il posto a un contrasto ideale tra carnefice e vittima, tra spettatore incolpevole e colpevolezza del protagonista: l’uomo di Balzano, in quel video dove all’eroicità del trionfante si contrappone la contrizione del perdente, sembra riferirsi all’iconografia del santo preferito da Michelangelo nella Cappella Sistina, quel San Bartolomeo che impugna la pelle del proprio martirio, del quale non può essere fiero se non nella misura di una autocommiserazione riflessiva.
Bestialità (toro) e innocenza (cristallo) convivono nel cercare un possibile equilibrio tra autodeterminazione razionale e istinto naturale: uomo versus animale. L’aspetto sessuale del toro poi, si pensi all’interpretazione che ne dà Füssli rileggendo Shakespeare, nel Risveglio di Titania (1793/94) e soprattutto le tante acqueforti e acquetinte di Picasso iniziate nel 1937, con il ciclo della Tauromachia preparatorie del capolavoro civile del maestro malagueno, la Guernica, dove protagonista è la figura del minotauro accanto a giovani donne illibate, è incarnazione della dualità – il bello e la bestia, libero arbitrio e predestinazione – che è insita nella polisemia del linguaggio di Balzano.
Luca Beatrice
 

info@christianbalzano.com

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